"Senza cambiamento continuo non esiste crescita”
In evidenza

“Senza cambiamento continuo non esiste crescita”

Milano Home incontra Giuseppe Morici, vicepresidente di Feltrinelli, che nel suo ultimo libro indaga il tema della crescita delle aziende da diverse angolazioni: “Per un’azienda – dice - più delle risposte sono importanti le domande”

 

“Questo libro è dedicato a una mia ossessione, l’ossessione per l’andare avanti”. Seduto a uno dei tavoli della Feltrinelli di via Pasubio, Giuseppe Morici, manager che ha lavorato nel marketing, nella consulenza e poi come direttore generale e amministratore delegato in diverse aziende tra cui Procter & Gamble, Monitor, Barilla e Bolton e oggi è vicepresidente del Gruppo Feltrinelli, presenta “Crescere è una cosa da grandi, perché le intenzioni di un’azienda contano più delle sue dimensioni”, il suo ultimo libro edito da Feltrinelli. “Un amuleto contro l’infelicità” delle aziende.

 

 

Pensare il futuro vuol dire immaginarlo e capire prima degli altri gli ostacoli da rimuovere e le opportunità da cogliere

 

Crescere è l’architrave su cui poggia l’intera argomentazione sviluppata da Morici, un pensiero ‘ossessivo’ che si coglie in tutta la sua interezza sfogliando le pagine dei dodici capitoli (tutti caratterizzati da una sola parola: Racconti, Generi, Governo, Muscoli, ecc.)  di cui si compone il testo con una “Conclusione temporanea, in attesa di altro futuro”.

 

Identità e crescita – dove il termine crescita non si riferisce alle dimensioni ma alla personalità dell’azienda – sono il dilemma dell’imprenditore intelligente e lungimirante”. Solo l’impresa che riesce a coniugare questi due ingredienti creerà valore”, dice Morici. Due ingredienti, quindi, e tre tempi: il tempo passato, dell’identità e della cultura, il tempo futuro, della strategia e del progetto e il tempo presente, della performance e dell’operatività.

 

“Le dimensioni non sono rilevanti: esistono piccole imprese con grandi ambizioni”

 

Le dimensioni? Non sono rilevanti per definire un’impresa una grande azienda. Quel che conta è “la mentalità, la cultura, il modo di gestire la conversazione interna tra le persone che vi lavorano che è anche premessa del dialogo con il mondo esterno”. Ed è arrivati a questo punto che l’autore, dopo aver per anni sostenuto che uno dei mali dell’Italia fosse il nanismo del suo tessuto imprenditoriale, recita il mea culpa.

 

Mi sono ricreduto “, dice, “e mi sono ricreduto per due motivi. Il primo è che le dimensioni di un’azienda non sono affatto garanzia di immunità dai problemi tipici delle microimprese. Il secondo è che ho incontrato piccole aziende con grandi ambizioni e ho messo meglio a fuoco il problema: il punto non sta nelle dimensioni, ma nelle intenzioni”, perché crescere è una questione che ha più a che fare con la completezza e con l’integrazione che con le dimensioni.

 

L’atteggiamento, l’habitus mentale dell’imprenditore, del capoazienda deve, quindi, conciliare cultura e cambiamento. Senza cambiamento continuo non esiste crescita”.

 

“La radice dei problemi sta nel fatto che chi è temporaneamente a capo di un’azienda non pensa al tempo dopo di sé”

 

Un’azienda dovrebbe pensare di non avere mai una fine, dovrebbe progettare la sua eternità o almeno la sua longevità. La radice dei problemi sta nel fatto che chi è temporaneamente a capo di un’azienda non pensa al tempo dopo di sé e non progettando la crescita, ovvero la longevità della propria azienda, ne determina la fine. Il compito di chi le guida è sostanzialmente uno solo: assicurare la continuità, contribuendo a migliorarne le sorti. Assicurare il futuro, non controllare tutti gli aspetti del presente, né certamente contemplare il passato. Il passato deve tenere per mano il presente perché realizzi il futuro”.

 

Una triplice dimensione di vitalità che richiede un equilibrio tra i tre tempi.

 

Specializzarsi nell’arte di occuparsi di quello che non c’è ancora

 

 

Crescita come ossessione, dicevamo, ma cosa bisogna fare per crescere?

 

Occorre mantenere i sensi attivi: gli occhi per continuare a vedere; le orecchie pronte a cogliere il rumore delle novità; il tatto, pronto a toccare la realtà che ci viene incontro e, anzi, ad andarle incontro; l’olfatto, allenato a riconoscere il profumo delle cose belle e il cattivo odore di quelle da temere; e, soprattutto, il cuore e l’animo ben disposti, ma non ingenui nei confronti degli altri e di ciò che ci propongono”.

 

Sono diverse le case history e le leadership –“l’arte di occuparsi di quello che non c’è, che è cosa ben diversa da essere leader”. Morici cita alcuni esempi. Da Sergio Marchionne a Steve Jobs, da Apple a Ferrero, da Ikea a Spotify, dalla Porsche alla Feltrinelli fino alla Molino Andriani, fondata dai fratelli Michele e Francesco, che nel 2009 a Gravina di Puglia prefigurano uno scenario a dir poco avventato: produrre la pasta senza glutine più buona e sostenibile del mondo “partendo da ciò che non hanno e da ciò che non sanno”.

 

Un esempio tangibile di questa apertura verso il futuro senza disfarsi del presente – “il futuro di qualche anno fa – è rappresentato anche dai concept store, una sorta di ambiente evocativo che offre una serie di esperienze diverse quanto complementari tra loro. Tra una degustazione e un buon calice di vino, mostre artistiche, presentazione e vendita di prodotti e tanto altro l’esperienza di vendita è permeata da un’atmosfera rilassata e conviviale. Anche per il negozio tradizionale il principio non cambia: quel che è necessario è saper intercettare e governare l’evoluzione.

 

Proiettarsi in avanti, quindi, conservando i principi e i valori che hanno contribuito a realizzare un modello di successo. È uno dei capisaldi che corroborano il progetto di cambiamento

 

L’autore chiosa con una citazione del grande compositore austriaco, Gustav Mahler:

La tradizione è custodire il fuoco, non adorare le ceneri. Le ceneri sono qualcosa di sacro cui va riservata la massima cura, ma le aziende procedono grazie a chi si occupa del fuoco, non delle ceneri”.

Una sorta di messaggio universale per le aziende orientate alla crescita.  Piccole o grandi che siano, familiari e artigianali, non fa differenza

 

Far crescere un’azienda e come far crescere un figlio - Il commento di Marco Missiroli

La crescita è il cuore pulsante del libro di Morici che Missiroli – scrittore nato a Rimini ma milanese d’adozione, vincitore, tra agli altri, del Premio Campiello Opera Prima con il suo romanzo d'esordio, Senza coda (Fanucci 2005; Feltrinelli 2017) e di Fedeltà (Einaudi, 2019 e 2021, Premio Strega Giovani, da cui è tratta una serie tv originale di Netflix) – definisce “un romanzo” per lo stile di scrittura lieve, morbido, scorrevole che accompagna il lettore in un percorso che ai più può apparire tortuoso e complesso da attraversare e che invece, pagina dopo pagina, coinvolge e appassiona, in alcuni passaggi emoziona per quei paragoni ripetuti tra adolescenza e fondatori, eredi e adulti, giovani e generatività. Il parallelo tra la crescita di un’azienda e quella dei figli, dei genitori e della sua famiglia nel suo insieme si regge sull’assioma che entrambi hanno a che fare con lo sguardo, con la cultura, con le parole, con le esperienze, con gli incontri “e soprattutto con la possibilità che concediamo a tutti questi fattori di influenzarci e di cambiarci”.