“Abitare uno spazio rispecchia l’abitare sé stessi, perché abitare è abitarsi”, afferma la docente universitaria. Una riflessione estesa anche ai punti vendita. “Il negozio di prossimità è una cosa meravigliosa, c’è bisogno di relazione e condivisione in ogni ambito”.
“La casa è metaforica della nostra identità. Se l’identità manca di uno sguardo di accoglienza, di un amore senza condizione, le persone avranno difficoltà di abitare sé stessi e di abitare lo spazio. Dall’abitazione al punto vendita il passo è breve. Il negozio di prossimità è una cosa meravigliosa, è necessario avere degli spazi mentali per chi si reca nel negozio. C’è bisogno di relazione e condivisione in ogni ambito”.
Donatella Caprioglio è docente universitaria, psicoterapeuta specialista dell’infanzia e psicologa dell’abitare. Una branca nuova, quella della psicologia della casa, di cui Caprioglio è l’antesignana. Una materia affascinante, utile e necessaria a comprendere e interpretare il rapporto che intercorre tra la persona e la propria dimora attribuendo uno specifico significato a ciascuno spazio.
La fotografia scattata mette in risalto esigenze e bisogni prima d’ora mai indagati, oscurando il reale rapporto che intercorre tra la persona e la propria dimora.
Qual è la relazione che sussiste tra la persona e la propria abitazione?
“La casa è terapeutica, recupera le pareti fragili. Rappresenta il nostro corpo attraverso le stanze, ci sono delle camere simboliche che descrivono i bisogni che tutti noi abbiamo. La cucina esprime l’oralità – il mangiare, il cibo –, il bagno evidenzia il rapporto che abbiamo con il corpo.
La camera da letto mette in luce il rapporto con la nostra sessualità mentre il soggiorno è il luogo dell’accoglienza, della condivisione, anche dello spazio all’altro. È il biglietto da visita della casa, quello che si vuole far vedere di sé. Lo sgabuzzino è lo spazio dove riporre le nostre incertezze. Guai a una casa senza sgabuzzino perché saremmo nudi davanti agli altri”.
Come interpretare il significato e la funzione dell’ascolto?
“Ascoltare vuol dire avere una stanza vuota per l’altro, spazio da riempire attraverso lo scambio di vedute al fine di impostare una relazione. Abbiamo bisogno di contatto attraverso gli occhi e il linguaggio della parola. In questo mondo in continuo cambiamento la gente ha sempre più bisogno di spazi d’ascolto, che poi questi abbiano anche dei mobili e degli oggetti, tanto meglio. Le narrazioni delle case sono bellissime ma la residenza deve essere messa in condizione di dialogare con chi vi abita. C’è bisogno di formazione alle persone che trasmettono il valore degli oggetti, serve per la capacità di racconto del significato intrinseco dell’oggetto stesso ma anche per sviluppare il senso di accoglienza. Noi tutti abbiamo bisogno di capire il reale significato delle cose e di affetto e l’oggetto, col passar del tempo, assolverà questa funzione”.
La casa come spazio simbolico, quindi, luogo identitario che talvolta, però, crea disagio all’individuo.
“Ci sono persone che non vogliono la cucina perché non hanno avuto un buon rapporto con il cibo, un blocco che magari dipende da una esperienza avuta in età infantile o adolescenziale. Si tratta di reazioni sintomatiche del nostro modo di investire il corpo perché la casa è un corpo che deve essere protetto ed è archetipale. Quando un bambino comincia a camminare la prima cosa che fa è mettersi sotto il tavolo e costruire la sua casetta perché in qualche modo già si protegge e guarda il mondo con delle spalle protette”.
L’abitazione va modellata non seguendo schemi preordinati o osservando la moda del momento, occorre afferrare quali sono le reali esigenze e i bisogni di chi andrà occupare quegli spazi.
“Una casa deve contenere i piaceri e i bisogni di ciascun membro. Ci sono persone che sono bloccate negli spazi, che non sanno viverli e che magari affidano all’architetto – che svolge un ruolo centrale e importante – la costruzione della casa o la vivono in maniera indifferente, ed è un peccato perché ‘abitare è abitarsi’. Agli architetti va data la possibilità di capire le nostre necessità perché loro assolvono anche la funzione di ‘terapeuti’. L’ascolto e il confronto sono sempre fondamentali, senza alcun pregiudizio”.